I piani per costruire i campi di concentramento a Gaza

Sia la GHF che le IDF stanno lavorando a schemi per rinchiudere in campi o deportare la popolazione di Gaza. Tra le altre notizie: secondo l‘FBI Epstein non aveva una lista di clienti, gli abusi della polizia locale di Genova, e le scommesse crypto sui vestiti di Zelenskyj

I piani per costruire i campi di concentramento a Gaza
Foto dominio pubblico: Casa bianca

Reuters ha visionato una proposta su carta intestata della controversa Gaza Humanitarian Foundation — l’unico gruppo di aiuti umanitari autorizzato a operare a Gaza, fuori dai cui centri di distribuzione avvengono regolari stragi — per la creazione di “aree di transito” umanitarie: dei campi di dimensioni enormi che dovrebbero facilitare il transito delle persone attraverso, e forse fuori, dalla Striscia di Gaza, con l’obiettivo di “sostituire il controllo di Hamas sulla popolazione di Gaza.” La proposta avrebbe un costo di 2 miliardi di dollari ed è stata inviata all’amministrazione Trump. All’interno delle aree di transito, però, non si transita soltanto: la popolazione di Gaza potrebbe fermarsi — o essere fermata? — al loro interno, seppur “temporaneamente,” per essere “deradicalizzata,” “reintegrata” e per “prepararsi a trasferirsi, se vogliono.” Non è la prima volta che si sente parlare di qualcosa del genere: già a maggio un retroscena del Washington Post aveva parlato di un piano analogo — forse lo stesso? — e all’epoca la GHF aveva negato di essere interessata a costruire strutture abitative. Nei documenti visti allora dal quotidiano si anticipavano le critiche più frequenti che sarebbero state sollevate al piano, compresa quella di costruire “campi di concentramento con controlli biometrici.” La proposta visionata da Reuters riporta che l’organizzazione dovrebbe “guadagnarsi la fiducia della popolazione locale,” per realizzare la “visione di Gaza” del presidente Trump. Come nel caso del Washington Post, il gruppo nega che il documento visionato sia proprio. Non dovrebbe servire specificarlo, ma come sottolinea il presidente di Refugees International Jeremy Konyndyk, “lo sfollamento volontario non è una cosa che esiste per una popolazione che è stata sottoposta a bombardamenti costanti per quasi due anni, e che è stata tagliata fuori dagli aiuti umanitari.” (Reuters / the Washington Post)