La pulizia etnica in dettaglio
Le autorità di Tel Aviv hanno incontrato un funzionario libico per discutere della deportazione dei palestinesi. Tra le altre notizie: che forma possono prendere le garanzie per l’Ucraina, continuano le difficoltà del centrosinistra per le regionali, ed è stata scoperta una nuova luna di Urano
Con l’avvicinarsi delle operazioni per l’occupazione generale di Gaza, a Tel Aviv continuano i lavori per trovare una possibile destinazione per i palestinesi deportati fuori dalla Striscia. Un retroscena di Middle East Eye rivela che un funzionario libico ha incontrato rappresentanti israeliani per discutere della proposta di deportare centinaia di migliaia di persone dalla Striscia di Gaza in Libia. Il funzionario sarebbe di rango molto alto: Ibrahim Dbeibeh, parente del Primo ministro e suo consigliere alla Sicurezza nazionale. Secondo le fonti di Middle East Eye gli incontri si sono concentrati sugli aspetti “pratici” della deportazione dei palestinesi, ma che “meccanismi e implementazione” di un possibile accordo non sono ancora stati discussi. Per la Libia ci sarebbe di che guadagnarci: gli Stati Uniti sarebbero disposti a offrire benefit e sostegno economico, a partire da un pacchetto di 30 miliardi di dollari in fondi congelati dello stato che potrebbero essere liberati — erano stati congelati nel 2011, ancora prima della caduta di Gheddafi. La notizia fa seguito a un altro retroscena, dello scorso maggio, che voleva gli Stati Uniti interessati nella deportazione dei palestinesi in Libia — retroscena che le autorità statunitensi avevano negato. (Middle East Eye / Reuters)
Nel frattempo, le IDF si stanno preparando per capire come deportare materialmente un milione di persone attraverso spazi disastrati e angusti. Un retroscena di Israel Hayom rivela che l’esercito ha creato una nuova Unità dedicata al trasferimento della popolazione, che sarà responsabile di mappare la popolazione, spiarla, e coordinare le azioni per forzarne lo sfollamento — a partire dalla distribuzione di volantini e l’invio di SMS, fino all’uso di colpi di artiglieria, che, il quotidiano legato alla destra israeliana chiosa, “dovrebbero mandare il messaggio più chiaro ai residenti che devono evacuare la città.” I militari, insomma, si stanno preoccupando di come occupare militarmente Gaza — ma cosa succederà a loro una volta arrivate in una delle zone dove saranno costretti a trovare rifugio: il portavoce dell’OCHA Jens Laerke è tornato a denunciare che Israele non permette da 5 mesi l’ingresso di tende e strutture per garantire un riparo ai palestinesi, lamentando generosamente la presenza di “strati di burocrazia che sembrano concepiti non per facilitare un rapido ingresso degli aiuti, ma l’esatto contrario.” L’ingresso di tende è vietato a Gaza perché le autorità israeliane le hanno categorizzate come tecnologia “dual use,” che può essere usata anche a scopi militari: se vi chiedete come, la risposta è che secondo Tel Aviv i pali delle tende potrebbero essere usati come armi. (Israel Hayom / the New Arab)