L’operazione persuasione di Netanyahu

Netanyahu farà visita a Trump per spostarlo verso le proprie posizioni piú radicali. Tra le altre notizie: il dibattito sull’indipendenza delle armi dell’UE, il taglio di deputati e senatori non è servito a niente, e l’ecosistema bizzarro in fondo al mar di Groenlandia

L’operazione persuasione di Netanyahu
foto: dominio pubblico, Joyce N. Boghosian/Casa bianca

I prossimi giorni saranno vitali per capire il futuro immediato della Striscia di Gaza: l’amministrazione Trump II vuole necessariamente annunciare l’inizio della fase 2 degli accordi di Sharm entro gennaio — e tra i funzionari più vicini a Trump, in particolare Witkoff e Kushner, c’è crescente scetticismo nei confronti delle autorità israeliane. Lunedì Netanyahu incontrerà Trump a Mar-a-Lago, in quella che, secondo un retroscena di Axios, vorrebbe essere una operazione di influenza diretta sul presidente degli Stati Uniti. L’amministrazione Trump II teme che Netanyahu stia rallentando il processo e voglia in realtà riprendere al più presto l’aggressione di Gaza. Una fonte israeliana del sito statunitense riporta che Netanyahu spera di poter portare Trump sulle proprie posizioni più aggressive. Axios descrive di sempre più forti frizioni tra i funzionari di Trump e i loro colleghi israeliani: dalla questione sull’apertura del valico di Rafah alla mancata fornitura di tende agli sfollati per l’inverno, Washington vede nelle azioni di Tel Aviv tutti tentativi per minare il cessate il fuoco. Secondo un funzionario statunitense, ovviamente rimasto anonimo, Netanyahu ha perso la fiducia di gran parte delle voci più fidate da Trump — J.D. Vance, Marco Rubio, Jared Kushner, Steve Witkoff, Susie Wiles. Netanyahu può contare su un buon rapporto personale con Trump, ma anche il presidente vuole la soddisfazione (personale) di vedere il proprio piano di “pace” avanzare: la Casa bianca vorrebbe avere il governo palestinese tecnocratico e la Forza di stabilizzazione internazionale pronte in tempo per il World Economic Forum di Davos, che si aprirà il 19 gennaio, con un focus sulla necessità di maggior “dialogo” in tutto il mondo. (Axios)

In questi giorni Hamas sta lavorando per cercare di ricontestualizzare non solo l’aggressione di Gaza ma anche gli attacchi del 7 ottobre, rifiutando le accuse israeliane di aver ucciso deliberatamente civili, tra cui bambini, e negando in modo risoluto le accuse di stupri avvenuti durante il proprio attacco. In un nuovo documento politico, il gruppo scrive espressamente: “Durante l’operazione Diluvio al-Aqsa del 7 ottobre, la resistenza non ha preso di mira nessun ospedale, scuola o luogo di culto; non ha ucciso un solo giornalista o personale delle ambulanze.” Il gruppo sfida Israele di “dimostrare il contrario.” Il movimento chiede “un’indagine internazionale imparziale sulle accuse di morte di civili israeliani,” che vada di pari passo a un’altra indagine sui crimini israeliani commessi durante l’aggressione di Gaza. (Palestinian Information Center)

Nel frattempo, nel Regno Unito: un gruppo di esperti ONU per i diritti umani ha avvertito il governo britannico che 8 attivisti detenuti, legati a Palestine Action, in sciopero della fame da 7 settimane, sono a rischio di morte per insufficienza d’organo. Tra gli esperti ci sono anche Francesca Albanese e Gina Romero: il gruppo ha citato possibili conseguenze dello sciopero della fame protratto, citando “danni neurologici irreversibili,” “aritmie cardiache” e appunto, la possibilità che gli attivisti muoiano. L’ONU ha chiesto alle autorità britanniche di agire con urgenza, sottolineando che ci sono obblighi legali e morali verso le persone in custodia: il diritto alla salute vale anche per chi è detenuto. (OHCHR)