Trump, al servizio di Netanyahu
Trump ha dato il proprio sostegno a Netanyahu, anche mentendo apertamente per il Primo ministro israeliano. Tra le altre notizie: ci sono dubbi sul materiale probatorio del caso sui finanziamenti ad Hamas, Trump in Europa non piace nemmeno agli elettori di destra, e il revival di X-Files si farà
È molto difficile capire come sia andato l’incontro tra Trump e Netanyahu di lunedì, tra una conferenza stampa in cui il presidente statunitense è stato estremamente effusivo verso il Primo ministro israeliano e in generale la politica di Tel Aviv, e ricostruzioni che raccontano di attriti interni tra i due paesi. Trump ha dichiarato che gli Stati Uniti potrebbero sostenere un altro grande attacco contro l’Iran, se Teheran dovesse ricostruire il proprio programma nucleare, e ha avvertito Hamas di “gravi conseguenze” nel caso non si riesca ad arrivare al disarmo. Trump ha insistito sulla necessità di entrare nella seconda fase degli accordi di Sharm, ignorando le quotidiane infrazioni delle autorità israeliane del proprio accordo di cessate il fuoco. Al contrario, Trump ha dichiarato che “Israele lo sta rispettando al 100%” — e che i ritardi nell’implementazione della fase 2, non riguardano quello che sta facendo Israele. A dire il vero, prima dell’incontro, Trump aveva detto l’esatto contrario, ovvero che avrebbe insistito con Netanyahu sulla necessità di avere personale turco a Gaza, nel contesto della Forza di stabilizzazione internazionale. Israele finora ha rifiutato categoricamente che la Turchia partecipi alla forza che deve sostituire le IDF a Gaza, ma la cosa ha fondamentalmente arrestato il processo di costruzione della Forza di “peacekeeping.” Durante l’incontro, Trump e i diplomatici statunitensi hanno indicato a Netanyahu che il governo di Tel Aviv deve rivedere drasticamente la propria posizione di sostegno alle azioni dei coloni della Cisgiordania, un passaggio che secondo Washington è obbligato se Tel Aviv deve “ricostruire” i propri rapporti con gli stati europei. Secondo i retroscena Netanyahu si sarebbe detto d’accordo e avrebbe condannato con parole nette la violenza dei coloni — ma è difficile immaginare un cambio di tendenza su questo fronte, considerata la composizione a dir poco di estremisti dell’attuale coalizione del governo Netanyahu VI. (ABC News / Reuters / Axios)
Dan Diker, presidente del Centro per gli Affari esteri e la sicurezza di Gerusalemme, un think tank conservatore israeliano, specializzato nella diplomazia e vicino ad ambienti governativi, ha dichiarato che il Somaliland avrebbe offerto a Israele di assorbire più di 1,2 milioni di rifugiati palestinesi in cambio del riconoscimento del proprio stato. L’offerta non è stata confermata o annunciata pubblicamente — attualmente in Somaliland vivono 6,2 milioni di persone, in un territorio di più di 170 mila chilometri quadrati. Sarà una coincidenza, ma al termine dell’incontro con Netanyahu, lunedì Trump ha ripetuto di nuovo che secondo lui — o meglio, secondo un sondaggio non meglio specificato — i palestinesi sarebbero felici di lasciare la Striscia di Gaza se venisse loro offerta la possibilità di andare a vivere altrove. Secondo Trump più di metà dei palestinesi sarebbero pronti a lasciare la Striscia, ma, rispetto ai mesi scorsi, il presidente ha imparato che alludere a deportazioni di massa è un tema che non piace particolarmente agli alleati di Washington nella regione: “Non parliamone perché non voglio che diventi una controversia,” ha commentato Trump. “Vediamo se si presenta l’opportunità.” (X / the Times of Israel)
Secondo fonti riservate di Ultra Palestine, Hamas avrebbe concluso le elezioni interne, nel contesto del processo avviato nelle scorse settimane per la nomina di nuovi leader che comporranno interessano sia l’Ufficio politico che il Consiglio militare dell’organizzazione. Il movimento avrebbe completato l’elezione di 18 membri dell’Ufficio politico. Nell’Ufficio politico ci si arriva attraverso uno schema di autorizzazioni e referenze, mentre nel Consiglio militare ci si arriva per acclamazione, ma in entrambi i casi ci sono sistemi interni specifici, legati al profilo professionale e di rischio dei singoli individui. Le nomine non sono ancora note, ma Ultra Palestine parla di diverse persone che finora non sono state visibili mediaticamente nell’Ufficio politico, tra giovani dirigenti ed ex prigionieri liberati. (Ultra Palestine)